Cina: la crisi nell’elettrico rimane un elemento di criticità nell’ultimo trimestre del 2021
Il rischio di carenze nell'approvvigionamento di carbone e di energia elettrica persisterà, anche se in maniera ridotta. Questo peserà ancora sul trend di crescita dell'ultimo trimestre del 2021. Quest'ultima ha notevolmente rallentato nel terzo trimestre al 4,9% rispetto a un anno fa: 7,9% al secondo trimestre. Allo stesso tempo, i vincoli all'offerta dovrebbero mantenere alti i costi di produzione senza grandi conseguenze sui prezzi finali.
La Cina si trova attualmente ad affrontare una grave crisi energetica. Il Paese, in un solo mese, ha subito un gran numero di blackout di corrente. Sono state coinvolte 18 su 31 province. Sono state introdotte restrizioni per l’accesso all’elettricità, che riguardano sia le imprese che le famiglie. Nonostante il problema non sia una novità, questa volta è più preoccupante. Da un lato, potrebbe persistere viste le tensioni osservate sia in termini di approvvigionamento che di aumento dei prezzi con l’avvicinarsi della stagione invernale. D’altra parte, questo avviene nel momento in cui la ripresa economica, già in rallentamento, è soggetta a numerosi venti contrari, con uno dei grandi rischi che riguarda le difficoltà finanziarie dello sviluppatore immobiliare Evergrande e la loro diffusione sul mercato real estate.

La stretta dell’approvvigionamento del carbone
La crisi dell’elettricità è imputabile, in primo luogo, alla stretta dell’approvvigionamento di carbone. Sebbene la domanda di elettricità sia aumentata, superando il livello raggiunto nel 2019 (grafico 1), vi sono forti vincoli sul versante dell’offerta. In effetti, la produzione di carbone stenta a ritrovare la sua tendenza passata (grafico 2). Le misure di limitazione delle capacità produttive attuate in particolare nell’autunno 2020 e la chiusura di alcune imprese ritenute inefficienti e obsolete hanno fortemente pesato sul settore. Inoltre, il numero di aziende produttrici di carbone non ha smesso di scendere (figura 3).


Allo stesso tempo, il calo della produzione interna di carbone non è compensato dalle importazioni. Queste ultime sono state penalizzate dall’embargo sulle importazioni di carbone australiano mentre quelle provenienti dall’Indonesia e dalla Mongolia sono state perturbate dalle restrizioni del trasporto legate alla pandemia del Covid-19 e dalle avverse condizioni climatiche che si sono verificate nel sud-est asiatico. Anche l’impennata dei prezzi mondiali del carbone costituisce un freno alle importazioni, spingendo i generatori ad attingere alle loro riserve (cfr. figura 4).


Infine, la transizione energetica è in ritardo. In Cina, il consumo di energia primaria resta dominato dal carbone. Il solo Paese ha registrato più della metà del consumo mondiale. La quota del carbone nel consumo di energia primaria è stimata al 58% nel 2019. Nonostante gli sforzi compiuti nel quadro della transizione energetica, le nuove energie stentano a rafforzarsi (cfr. grafico 5). La produzione di energia idrica è addirittura diminuita del 2,3% nei primi nove mesi del 2021 rispetto al +5,3% nel 2020.

L’accelerazione del programma di decarbonizzazione
La penuria di carbone è stata esacerbata dall’accelerazione del programma di decarbonizzazione in diverse province, all’indomani della pubblicazione del “Dual-Control Assessment Report” da parte della Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma (NRDC). Ricordiamo che la Cina arriverà al picco delle emissioni di CO2 da qui al 2030 e alle emissioni zero entro il 2060. Per raggiungere questi obiettivi a lungo termine, sono stati fissati obiettivi a breve termine a livello nazionale (riduzione dell’intensità energetica del 3 % rispetto al PIL nel 2021) ma anche a livello delle comunità locali. Queste ultime sono classificate secondo due criteri: l’intensità energetica (rapporto consumo di energia rispetto alla produzione) e il consumo totale di energia. Vengono quindi classificate, ogni semestre, secondo tre livelli di allarme. Il Livello 1 (rosso) è la soglia di allarme più alta e suggerisce, per le province classificate in questa categoria, un’immediata attuazione di rigorose misure di controllo al fine di rispettare il duplice obiettivo energetico di quest’anno e di ridurre le emissioni inquinanti. Secondo la NRDC, 9 province sono classificate come “rosse” (cfr. figura seguente). Guangdong e Jiangsu, le due province più grandi del Paese (35% del PIL nazionale e 37% del consumo di elettricità), sono classificati come rosse e sono state portate, di conseguenza, a ridurre drasticamente il loro consumo di energia.

Lo squilibrio tra l’offerta e la domanda di carbone persisterà
A breve termine, il rallentamento delle attività in corso, in particolare nel settore delle costruzioni, permetterebbe di ridurre le tensioni circa la domanda di carbone. Dal lato dell’offerta, anche i vincoli dovrebbero attenuarsi progressivamente. Dalla fine dell’estate, il governo ha allentato le restrizioni sulla produzione di carbone e, parallelamente, ha aumentato le importazioni provenienti dell’Australia, dalla Russia e dal Kazakistan. L’interrogativo verterà circa l’evoluzione della politica di decarbonizzazione del governo. Data l’importanza del pilastro “Ambiente” nel piano quinquennale e il rafforzamento del peso dell’industria energivora dopo la crisi sanitaria, riteniamo che il monitoraggio del “doppio obiettivo” energetico operato a livello regionale sarà mantenuto. Tuttavia, se necessario, sono possibili adeguamenti prudenti e mirati. Al contrario, nel prossimo futuro non sembra realizzabile alcuna misura a favore di una minore dipendenza dal carbone e di un rapido sviluppo delle energie rinnovabili.
Complessivamente, si prevede che il rischio di carenza nell’approvvigionamento di carbone e, in definitiva, di energia elettrica, anche se più ridotto, dovrebbe persistere. Continuerà, inoltre, a pesare sul percorso di crescita nell’ultimo trimestre del 2021. Si ricorda che quest’ultimo ha subito una forte decelerazione nel terzo trimestre, al 4,9% rispetto a un anno prima dai 7,9% del secondo trimestre. Allo stesso tempo, i vincoli all’offerta dovrebbero mantenere elevati i costi di produzione senza gravi conseguenze per i prezzi finali. A settembre il divario tra l’indice dei prezzi alla produzione e al consumo ha raggiunto un livello record (cfr. grafico 6).

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