Focus – Reverse factoring e altri strumenti di supply chain finance, ecco quanto vale il mercato
I tempi di incasso e pagamento rappresentano una variabile importante nella gestione della tesoreria delle aziende. Ecco perché è importante la supply chain finance e, nello specifico, il reverse factoring.
Con la crisi economica i piccoli fornitori hanno sempre più problemi a farsi pagare in tempi brevi, alla faccia della direttiva Ue recepita a suo tempo anche dalla legge italiana, che impone un limite massimo di 60 giorni per i pagamenti, ridotto a 30 giorni nel caso dei prodotti alimentari freschi.
Ma indipendentemente dai momenti di crisi, i tempi di incasso e pagamento rappresentano una variabile importante nella gestione della tesoreria delle aziende. Così da tempo molte grandi aziende hanno risolto il problema dotandosi loro stesse di proprie società di factoring che acquistano i crediti dei fornitori del gruppo (il cosiddetto reverse factoring o factoring indiretto), in modo da mantenere in salute la filiera e contemporaneamente ottimizzare i flussi di cassa. Altre grandi aziende hanno preferito rivolgersi a un factor esterno perché faccia questo lavoro per conto loro. E ora il sistema viene sempre più spesso adottato anche dalle medie aziende.
Il vantaggio per i fornitori, oltre quello di entrare subito in possesso della liquidità, è che questi possono cedere al factor loro crediti verso l’azienda cliente, che ha stipulato l’accordo quadro di reverse factoring con il factor in questione a tassi di mercato a breve, che però sono quelli che il factor applicherebbe all’azienda capofiliera, che sono più bassi di quello che i fornitori spunterebbero da soli.
Il reverse factoring è uno degli strumenti con i quali sviluppa la sua attività il Supply Chain Fund, gestito da Groupama AM sgr, il primo fondo di direct lending italiano dedicato all’acquisto di fatture commerciali e destinato ai soli investitori istituzionali. Il Supply Chain Fund interviene proprio in ottica di filiera, finanziando il circolante delle imprese attraverso accordi “su misura” con aziende di grandi e medie dimensioni, in relazione ai crediti vantati dai loro fornitori.
Il reverse factoring è uno degli strumenti della cosiddetta supply chain finance (SCF) che in Italia a fine 2018 aveva un mercato potenziale di ben 483 miliardi di euro, secondo i calcoli dell’Osservatorio Supply Chain Finance della School of Management del Politecnico di Milano, che il 17 aprile scorso ha presentato i risultati della sua ricerca annuale. I 483 miliardi rappresentano infatti il totale del montecrediti, comprensivo di crediti di natura commerciale delle imprese italiane che al 31 dicembre 2018 registravano ricavi maggiori di 500 mila euro, sulla base del database Leanus (si veda qui il comunicato stampa).
Sulla base di questi calcoli, a fine 2018 l’Italia si collocava terza in Europa, rappresentando il 3% del mercato potenziale mondiale della SCF, che, a fine 2018, ammontava a 16.500 miliardi di euro. A livello globale, l’Asia rappresenta il mercato potenziale più ampio con circa 7 mila miliardi di euro di crediti commerciali, trainata da Cina (3 mila miliardi di euro) e Giappone (1200). Segue l’America con circa 5 mila miliardi, di cui oltre il 60% negli Stati Uniti (3.100 miliardi) e infine l’Europa con 4 mila miliardi di euro, guidata da Francia (621 miliardi di euro) e Germania (509), oltre all’Italia.
Tornando all’Italia, l’Osservatorio Supply Chain del Politecnico calcola però che soltanto il 31% del mercato potenziale a fine 2018 era già servito da soluzioni che consentono alle imprese di finanziare il capitale circolante facendo leva sul ruolo e le relazioni della filiera, per un valore di 150 miliardi di euro. Di questo totale, ben 70 miliardi erano rappresentati ancora dal classico anticipo fatture e 61 miliardi da factoring tradizionale, mentre il resto è distribuito tra cartolarizzazioni di crediti (8,5 miliardi), reverse factoring (6,2 miliardi), carte di credito (3 miliardi), cessione crediti futuri (un miliardo), confirming (500 milioni), invoice trading (130 milioni) e dynamic discounting (100 mila euro).